Il significato della vita

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    Un tempo in noi c'era la speranza di cambiare il mondo, di fare grandi cose.
    Il tempo è passato e ci siamo resi conto che siamo soltanto piccole goccioline in un oceano,
    a volte magari ci chiediamo il reale senso della nostra vita.....

    Però in noi c'è e ci sarà sempre un lumicino pronto a divenire grande fiamma..

    ho trovato questo brano di un libro, lo dedico a tutti voi!!!!!


    Un professore concluse la sua lezione con le parole di rito: "Ci sono domande?".
    Uno studente gli chiese: "Professore, qual è il significato della vita?".
    Qualcuno, tra i presenti che si apprestavano a uscire, rise.
    Il professore guardò a lungo lo studente, chiedendo con lo sguardo se era una domanda seria.
    Comprese che lo era. "Le risponderò" gli disse.
    Estrasse il portafoglio dalla tasca dei pantaloni, ne tirò fuori uno specchietto rotondo, non più grande di una moneta.
    Poi disse: "Ero bambino durante la guerra. Un giorno, sulla strada, vidi uno specchio andato in frantumi. Ne conservai il frammento più grande. Eccolo. Cominciai a giocarci e mi lasciai incantare dalla possibilità di dirigere la luce riflessa negli angoli bui dove il sole non brillava mai: buche profonde, crepacci, ripostigli. Conservai il piccolo specchio. Diventando uomo finii per capire che non era soltanto il gioco di un bambino, ma la metafora di quello che avrei potuto fare nella vita. Anch'io sono il frammento di uno specchio che non conosco nella sua interezza. Con quello che ho, però, posso mandare la luce, la verità, la comprensione, la conoscenza, la bontà, la tenerezza nei bui recessi del cuore degli uomini e cambiare qualcosa in qualcuno. Forse altre persone vedranno e faranno altrettanto. In questo per me sta il significato della vita".
     
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  2. Gegia7e3
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    CITAZIONE
    "Con quello che ho, però, posso mandare la luce, la verità, la comprensione, la conoscenza, la bontà, la tenerezza nei bui recessi del cuore degli uomini e cambiare qualcosa in qualcuno. Forse altre persone vedranno e faranno altrettanto. In questo per me sta il significato della vita".

    E tu ci riesci sempre così bene, cara Danboa!
    Per questo, io che non ti ho mai visto, non ti ho mai abbracciata con queste braccia di carne, non ho mai scambiato con te parole di viva voce né ho mai seduto alla tua tavola imbandita, io dal pezzetto più piccolo di quello specchio che sa di avere i suoi pezzetti fratelli sparsi in giro chissà dove, ti voglio bene!
    Grazie per la tua semplice, grande grazia!
    mughettoportafortunaaq6
     
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  3. Gegia7e3
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    Altri pezzetti di quello specchio, in giro per il mondo, parlano così:

    “Io combatto perché sono vivo”: intervista a Davi Kopenawa, sciamano degli indios Yanomami
    La situazione degli indios Yanomami in Brasile è disperata. La loro terra è minacciata dalle miniere, dall’inquinamento dei fiumi, dal disboscamento selvaggio. Il governo non li protegge e le grandi società che sfruttano le risorse brasiliane vorrebbero cancellarli dalla faccia della terra. Ma la loro voce si alza forte…per chi la vuole ascoltare. Kopenawa tocca il cuore, è profetico e chiama tutti, nessuno escluso, a lottare per il fine più grande: salvare il mondo dove viviamo.


    di Giovanni Fez - 10 Dicembre 2013
    Davi Kopenawa
    Si intitola “La chute du ciel”, la caduta del cielo. E’ il libro che lo sciamano yanomami Davi Kopenawa ha scritto insieme all’antropologo francese Bruce Albert. Il libro, una visione limpida, lucida e toccante della tragedia degli yanomami, è stato tradotto solo negli Stati Uniti. Non esiste al momento una traduzione italiana; auspichiamo che questo vuoto possa essere presto colmato.

    Kopenawa è stato anche sentito da una commissione appositamente costituita dall’American Anthropological Association per andare a fondo della situazione che si è venuta a creare in Brasile e sensibilizzare di conseguenza governi e opinione pubblica.

    Quella che vi proponiamo è l’intervista che Kopenawa ha rilasciato, come testimonianza, al responsabile della commissione. L’intervista è stata realizzata in portoghese, Kopenawa usa a volte termini e espressioni tipiche della lingua yanomami. Bruce Albert, antropologo che ha lavorato con gli yanomami per molti anni e che è anche membro dell’associazione americana degli antropologi, ha trascritto l’intervista in inglese fornendo anche una trasposizione dei termini della ligua indigena. Ecco la traduzione in italiano (per gentile concessione di Survival International).

    Davi: Il mio nome per esteso è Davi Kopenawa Yanomami. Il villaggio in cui vivo si chama Watoriketheri, è sulle Montagne del Vento. La mia gente sta assistendo a quanto accade alla nostra comunità, ai nostri familiari e alle altre comunità. Gli Yanomami sono spaventati dai minatori e dall’inquinamento dei fiumi. I minatori invadono le nostre riserve e arrivano nelle nostre comunità spacciandosi per amici; ci dicono bugie, ci raggirano e noi spesso cadiamo nella loro trappola. Il loro numero è cresciuto, molti altri ne sono arrivati e hanno cominciato a portare qui macchinari che inquinano i fiumi. L’inquinamento uccide i pesci e i gamberi, tutto ciò che nel fiume vive. Sto cercando di aiutare, anzi, sto aiutano la mia gente. All’inizio non parlavo portoghese, ma l’ho imparato per riuscire a far sentire la nostra voce al governo brasiliano, a tutte le autorità. Sto viaggiando tra la gente per spiegare cosa faccio: a Tootobi, Araca, Ajuricaba e Catrimani. Mi spiace non essere riuscito a toccare più luoghi. Vorrei tanto che qualche amico mi aiutasse, magari un bianco. Mi sposto, visito altri villaggi quando riesco ad avere i soldi per l’aereo. E’ molto difficoltoso arrivare fino a villaggi distanti, poichè la foresta della mia gente è molto vasta. Mi sto preparando per arrivare a Surucucus, Paapiu, Jeremias, Avaris, Erico, Waikas e Mucajai, poi ancora Marari, luogo difficile da raggiungere per me, perché sono venti giorni a piedi. Se dovessi andare a piedi in tutti questi posti, mi occorrerebbe un mese.

    Intervistatore. L’Agenzia federale brasiliana per gli indios (Funai) ti ha mai aiutato?

    Davi: Non mi ha mai aiutato in quello che sto facendo, non mi ha mai pagato l’aereo per andare nei villaggi che hanno le piste d’atterraggio. Non ho avuto alcun aiuto da loro.

    Intervistatore: Il Funai sta facendo qualcosa in questo periodo per aiutare la tua gente?

    Davi: Conosco il Funai fin da quando era una piccola entità, fin da quando ha cominciato a lavorare con gli yanomami e ora risulto loro dipendente. Ma io lavoro per la mia gente, non per il Funai, che non ha mai fatto niente di buono. Si lamentano in continuazione di non avere soldi, di non avere aereoplani, di non avere aiuti dal governo e non hanno mai fatto nulla di buono per gli yanomami. Ora le cose vanno anche peggio, il Funai conta ancora meno. Ecco perché ho così tanto bisogno di aiuto per portare avanti il mio lavoro. Il Funai non sta facendo nulla, è invidioso di me, si arrabbia con me per la mia attività. Il Funai non vuole che io viva nel mio villaggio, vuole tenermi nascosto, vuole tenermi buono, non vuole che protesti, non vuole che parli con gli altri, soprattutto con i bianchi che mi sostengono. All’inizio mi avevano proibito di lasciare il villaggio, volevano che stessi solo lì ma io non voglio sedermi e star zitto mentre la mia gente muore. Ho bisogno di andare nel mondo, di farmi sentire, di raccontare cosa sta succedendo. Anzi, non ho bisogno, ho il diritto di spiegarlo agli altri paesi. Le mie parole hanno raggiunto l’Europa, gli Stati Uniti, il Giappone e il Venezuela, così come altre nazioni nel mondo. Ma temo di non riuscire a raggiungere i villaggi più remoti della mia gente, quelli sul confine. Non posso toccarli tutti da solo.

    Intervistatore: Ti riferisci al confine con il Venezuela?

    Davi: Sì, con il Venezuela. E’ praticamente impossibile per me, da solo, visitarli tutti e parlare con tutti. E’ uno sforzo enorme. Ma sto cercando di fare quello che posso per salvare la vita della mia gente, degli yanomami.

    Intervistatore: Ci sono antropologi che ti hanno aiutato o ti stanno aiutando nella tua battaglia, nei tuoi sforzi?

    Davi. Gli antropologi sono solo fuori dal Funai. Ci sono due antropologi che ci hanno aiutato; uno di questi, che non è brasiliano, si chiama Bruce Albert, professore all’università di Brasilia e membro dell’Orstom, un gruppo di ricerca francese. L’altro si chiama Alcida Ramos [docente anch’egli all’università di Brasilia, ndt]. Loro ci hanno aiutato, anche a scrivere documenti e a diffonderli. Bruce parla la nostra lingua, è un aiuto prezioso. A noi piace quanto sta facendo. Sta lavorando per gli Yanomami, a sostegno degli Yanomami e diffonde informazioni su quello che sta scoprendo. Bruce si occupa della nostra zona e Alcida dell’Auaris [la zona di un gruppo di yanomami al nord, ndt]. Quando si recano nelle comunità, gli yanomami spiegano loro cosa sta accadendo, così Bruce e Alcida sanno, scrivono e spediscono notizie ai media in modo che altra gente possa sapere.

    Intervistatore: Il Funai sta facendo qualcosa per aiutare questi antropologi?

    Davi: No, a loro non piace quello che gli antropologi stanno facendo. Stanno cercando di proibire loro di entrare nelle aree yanomami, non gli va a genio che si muovano di villaggio in villaggio perchè gli antropologi dicono la verità, vedono di prima mano cosa sta succedendo nella riserva e a Paapiu, a Surucucus, Auaris, Tootobi, Catrimani e tutti questi posti. Quando un antropologo dice la verità, ne consegue che sta parlando contro il governo. Il Funai è un organo del governo e non apprezza tutto ciò. Sono antropologi coraggiosi, non fanno come quelli che fanno ricerca e che arrivano e se ne vanno. Noi indios abbiamo bisogno di antropologi coraggiosi, che parlino la nostra lingua, che ci dicano cosa stanno facendo i bianchi, cosa sta dicendo il governo, compresi i governi stranieri e quelli europei. Abbiamo bisogno di sapere, abbiamo bisogno di buone notizie, perché qui in Brasile il governo non ci dà mai buone notizie. Per questo pensiamo sia un bene che gli antropologi parlino la nostra lingua e che possano spiegare alla gente, alle nostre comunità, agli anziani, a chi non capisce il portoghese, alle donne. Gli antropologi possono parlare con gli shabori [sciamani], con i tuxana [i capi], con chi non ha mai lasciato il villaggio per venire in città come questa [Boa Vista]. La nostra gente così può imparare tanto, è molto importante.

    Intervistatore: Parlaci della situazione sanitaria. Sta peggiorando? Il Funai sta facendo qualcosa per venirvi in aiuto? Cosa può fare la gente?

    Davi. Il Funai ha cercato di portare avanti un progetto di salute di comunità, ma hanno fatto pochissimo e senza effetto. Il Funai non ha medici, o almeno non medici competenti che possano lavorare con gli yanomami e che possono aiutarli. Il personale del Funai, che è personale del governo, non è preparato in materia di salute, non sono abituati a lavorare su questi temi e lo fanno con difficoltà. Personalmente penso che sarebbe bene se ci conoscessero meglio prima di di venire nelle nostre comunità a prestare servizio medico. Il personale del Funai viene solo quando ci sono emergenze e quando arrivano nel villaggio sono scioccati perché non hanno case dove abitare e non hanno torrenti puliti per bere; hanno paura di prendere la malaria. Per combattere efficacemente la malaria occorrerebbero dottori disposti a fermarsi da noi per un mese o due senza tornare continuamente in città. Attualmente il personale del Funai sta solo a Boa Vista o visita solo uno o due villaggi, così non si risolve nulla. Per esempio dovrebbero lavorare con i tecnici del Sucam, l’agenzia federale di salute pubblica in Amazzonia, che hanno il microscopio e quindi possono capire che tipo di malaria affligge la gente per poi poterla curare in maniera adeguata.

    Intervistatore: Già, è ovvio. Ma questo non sta succedendo, giusto?

    Davi. Giusto, non sta succedendo. Tante persone muoiono, bambini, giovani, donne, sciamani, quasi tutti a Paapiu sono morti, sono rimasti in pochi e questo mi preoccupa molto.

    Intervistatore: Come sai, sono qui per l’American Anthropological Association, un’organizzazione straniera di un paese straniero. Mi piacerebbe che dicessi qualcosa all’associazione. Cosa possiamo fare per dare una mano? Cosa pensi che possiamo fare, cosa ti piacerebbe che facessimo per aiutare la causa della tua gente?

    Davi: Noi abbiamo bisogno del lavoro che state facendo con le associazioni estere, abbiamo bisogno del vostro supporto per fare pressione sul governo affinchè risolva i nostri problemi. Scrivete lettere al governo e al presidente ed è un aiuto importante; abbiamo bisogno del vostro peso per far sì che la nostra terra venga rispettata e demarcata. Noi Yanomami non possiamo combattere contro i bianchi e non voglio che il governo combatta contro gli indios. Sono più brasiliano di quanto non lo sia il governo e vi chiedo di diffondere tutto ciò che apprendete qui, di scrivere lettere in modo che il governo demarchi i nostri territori, elimini le miniere e tutto quello che hanno portato nelle nostre riserve. I minatori lasciano sempre i loro macchinari nascosti, si nascondono loro stessi; il governo deve accertarsi che se ne vadano. Devono lasciare le nostre terre pulite e occorre eliminare le malattie che i minatori portano; occorre contenere e combattere la malaria, la tubercolosi, l’influenza e la altre malattie respiratorie che uccidono così tante persone. Queste malattie sono venute da fuori, affliggono i bianchi e i bianchi le trasmettono a noi. Voglio anche affidarvi un altro messaggio. Ho un progetto, penso che non lo abbiate ancora visto ma forse ne avete sentito parlare. Il progetto si chiama Demini Community Project. Non è del Funai e non è del governo, non è dei missionari nè della chiesa, nè della commissione per la creazione del parco yanomami, la Ccpy. E’ un progetto che ho concepito e creato da solo e ho bisogno di aiuto.

    Intervistatore: Dimmi di cosa si tratta, non ne so niente.

    Davi. Con questo progetto sto cercando di aiutare quattro comunità. Ho cominciato con Demini e ora sto lavorando a Tootobi, Araca e Ajuricaba. Do anche un aiuto alla missione di Catrimani per il dentista. Sto imparando come i bianchi fanno le cose, non ho ancora ben chiaro tutto ma sto imparando. Sto lavorando per portare dottori, due dottori che hanno lavorato a Demini, un uomo e una donna. La donna è Gorete, l’uomo si chiama Istvan. C’è anche un’infermiera che è andata a San Paolo per studiare. Voglio invitare i medici a venire ad aiutare quattro comunità; c’è anche Cica [Maria Aparecida da Silva, ndt], è una dentista. Lei sa come lavorare con gli yanomami, conosce già alcune famiglie. Gli altri tre non parlano la nostra lingua ma stanno lavorando e aiutando. Il Funai conosce il mio progetto, lo conoscono anche la Chiesa, la missione evangelica e il ministro della salute. L’ho mostrato loro e lo hanno trovato positivo. Tu mi hai chiesto di cosa abbiamo bisogno; ebbene, il progetto ha bisogno di sostegno, tra l’altro è nato dal mio viaggio in Europa, dove è piaciuto e mi hanno detto di lavorarci e di cercare finanziamenti. Se non lo faccio, se lascio le cose come le fa il Funai, o il Ccpy o il governo, tutto rimarrà com’è.

    I BIANCHI DISTRUGGERANNO IL MONDO

    Davi. Noi abbiamo due battaglie da combattere: quella per difendere la terra, l’ambiente, il cielo, il vento, gli alberi; e quella per difendere la nostra terra e il nostro territorio. Gli sciamani sanno come si fa, è il loro lavoro perchè capiscono Omame [il Dio, il Creatore, ndt]. Omame è come il governo, come il presidente del mondo intero, più potente di ogni governo di umani. I governi dei bianchi, come quello brasiliano, non conoscono Omame, non lo ascoltano, né ascoltano gli sciamani. Stanno distruggendo il mondo e gli sciamani sono molto preoccupati, ma si stanno stancando di parlare e parlare, si stanno arrendendo. Così il mondo conoscerà la sua fine. Sto lavorando con Bruce [Albert, ndt] per mettere per iscritto ciò che gli sciamani conoscono di Omame, per metterlo in un libro così tutto il mondo saprà. L’inquinamento che bianchi stanno provocando ci riempie di fumo, il fumo delle fabbriche, il fumo delle foreste che vengono bruciate, il fumo delle bombe. I bianchi fanno la guerra, lanciano le loro bombe atomiche e il fumo sale, coprendo tutto il mondo. Questo fumo causa tante malattie tra la gente e gli sciamani sono molto preoccupati. La gente di tutto il mondo, bianchi e indios, si sta ammalando a causa dell’inquinamento. Il mondo è un cielo. Il fumo dell’inquinamento che i bianchi stanno producendo salirà fino a questo cielo fino a che non sarà più sopportabile e allora sarà la fine di tutto. Questo succederà se non fermiamo l’inquinamento. Abbiamo tutti lo spirito sporco, anche gli indios. Ma ci sono luoghi in questo mondo che non sono sporchi, dove la natura è ancora pulita, Omame lo ha voluto. Gli sciamani conoscono questi luoghi, comprendono questa purezza, possono insegnarla agli altri. Nelle città dei bianchi ci sono troppe persone povere. Perchè? Perché i ricchi hanno preso loro la terra, hanno preso i loro soldi e non glieli hanno restituiti. Gli indios questo non lo fanno. Noi non abbiamo gente povera, tutti noi possiamo usare la terra, pulire il giardino, cacciare e pescare. Quando un indios ha bisogno di mangiare uccide uno o due tapiri, taglia solo pochi alberi per ricavare il suo giardino. Non distrugge gli animali e la foresta. I bianchi lo fanno, fanno sparire tutti gli alberi e gli animali perché distruggono ampie aree di foresta e uccidono le bestie e tutto è perduto per sempre. Gli huburibi [spiriti della cecità, ndt] vivono sottoterra, insieme all’oro e alla cassiterite. Escono dalla polvere, si infilano negli occhi e causano oncocercosi. Omame nasconde le shawara [malattie epidemiche, ndt], sotto la terra. I nabewakaribe [letteralmente armadilli bianchi giganti, ndt] utilizzano macchinari e scavano profondi buchi nella terra per prendere il ferro, per fare pezzi di aeroplani o di treni. Questo smuove molta polvere che il vento trasporta come fumo e fa ammalare molte persone. Ci sono anche molti problemi con il petrolio, che i bianchi estraggono dalla terra. Gli oli minerali, il ferro, le rocce non sono morti, sono vivi. Muoiono solo quando vengono bruciati nelle fabbriche; allora, i loro spiriti viaggiano attraverso l’aria, nel vento, e fanno ammalare bambini e anziani. Gli shawara delle pietre escono e cercano vendetta, è la malattia universale dell’inquinamento, la malattia del fumo. Sale dal ferro, dalle pietre, dagli oli minerali, dalle bombe, da tutte le cose. Ecco perché sono preoccupato per la guerra nei paesi arabi e per tutti i fumi neri che salgono da quel petrolio bruciato. Se i minatori se ne vanno dalla nostra terra solo per far posto a compagnie minerare più grandi con macchinari più grandi che scavano buchi più profondi, le cose non potranno che peggiorare, si diffonderà ancora più shawara, ci saranno più epidemie. La malattia è avida, vuole mangiarsi le persone, è ingorda. E’ troppo forte per gli sciamani; non ci sono sciamani in questo mondo forti abbastanza per fronteggiarla. In questo modo tutti verranno uccisi, il mondo sarà distrutto in questo tempo, non ci sopravviverà. Questo è quello che dice Lorival, è quello che gli yanomami stanno dicendo, che tutti gli indios dicono. Non ci sono sciamani abbastanza forti.

    Intervistatore. Perchè non diventare sciamani e provare a combattere?

    Davi. Tutti quelli che combattono con forza contro la malattia, contro la shawara, verranno uccisi dalla shawara, come Chico Mendes. Ecco perché non dico: sono forte.

    Intervistatore. Ma se le cose sono così senza speranza, perché continui a combattere?

    Davi. Perché continuo a combattere? Perché sono vivo, credo nella mia battaglia. Sto combattendo per i giovani, per i bambini e anche per gli adulti, perché la mia gente non debba morire giovane. Hutucara [lo spirito del cielo, ndt] può richiamare un vento potente da sotto la terra, dove il vento sta, e ordinargli di spazzare via tutto il fumo, tutto l’inquinamento e riportarlo sottoterra. Allora, il mondo potrà essere di nuovo pulito. Occorre un vento molto forte, però, perché il mondo è molto grande. Ecco perché tutti gli yanomami insieme non sono sufficienti per salvarlo.

    Intervistatore. Nella tua lettera “A tutte le persone della terra”, pubblicata nell’ultimo rapporto di Acao Pela Cidadania (1990), parli del bisogno di proteggere le montagne sacre della terra yanomami. Puoi spiegare perchè queste montagne sono importanti?

    Davi. Te lo posso spiegare. Mi piace spiegare queste cose ai bianchi, così possono sapere. Noi yanomami nominiamo sempre il nome del creatore delle montagne e lo/la [genere non indicato, ndt] rispettiamo molto, come tutti gli altri indios brasiliani e tutte le popolazioni indigene del mondo. Questo luogo sacro, le alte montagne, bellissime, sono luogo di spirito. La parola “spirito” non è una parola della mia lingua. Ho imparato questa parola e la uso nel linguaggio misto che ho inventato per parlare ai bianchi di queste cose, ma il nome indigeno è hekurabe o anche saboribe [letteralmente vecchio giardino, ndt]. Questi sono gli spiriti degli sciamani (shabori) che vivono nelle montagne. Noi chiamiamo questo sacro luogo hutu pata. E’ un luogo in cui i villaggi degli yanomami si trovavano in passato e l’anima degli indios che visserò lì ancora esiste e c’è. Nella vostra lingua la chiamate anima, noi invece la chiamiamo bore, "ne borebi, o ne borebi kua ... a nomarayomeki a ne borebi temi." ["La gente ha un’anima ...quando muore, l’anima viene alla vita”, ndt]. Ci sono vari spiriti, differenti shabori. Gli shabori del mondo intero hanno creato queste montagne per viverci, agli shabori piace stare lì, agli shabori di questa terra e di tutto il mondo. Queste montagne sacre sono importanti per il mondo intero, non solo per gli indios. Comunque è molto difficile entrare in contatto con gli shabori; gli yanomami riescono a capirli e a vederli, a entrarci in contatto. I nostri padri e i nostri nonni, tutti vecchi sciamani, sono morti ma continuano a esistere; le loro anime sono ancora vive. Solo che vivono dietro la loro pelle, la loro carne e le loro ossa, perché sono invecchiati, come quando la gente si toglie i vestiti vecchi quando sono ormai da buttare. Quando uno yanomami muore, noi bruciamo il corpo, ma l’anima non muore. L’anima resta dove la persona è morta, dov’era la sua casa, rimane sempre là e noi rispettiamo quel luogo come sacro. Le anime vogliono vivere, stare con noi, non vogliono essere separate da noi e noi abbiamo paura. Facciamo forti rumori per mandarle via, ci feriscono, infliggono malattie ai bambini, quelle che chiamano le nostre malattie, ma gli altri sciamani, quelli ancora vivi, riescono a parlarci e sono ancora capaci di curare le persone che si ammalano e non farle morire.

    Intervistatore. Se i minatori distruggono le montagne, sarà ancora possibile entrare in contatto con gli spiriti?

    Davi. Sì, ma loro non vogliono…gli sciamani hanno già contattato questi spiriti, questi hekurabe che vivono sulle montagne, non vogliono che nessuno disturbi i loro luoghi. Vogliono che le montagne restino pulite. Quando i bianchi vengono qui per distruggere le montagne, i minatori disturbano un luogo sacro, la montagna sacra. Scavano proprio lì e gli spiriti si arrabbiano e li uccidono.

    Intervistatore: E’ per questo che molte persone muoiono?

    Davi. Sì, i bianchi non sanno cosa stanno facendo gli spiriti. Rompono e distruggono durante le estrazioni; tante cose sono accadute in tutti questi luoghi, dappertutto gli shabori sono irritati dal rumore degli elicotteri. A volte fanno anche sparire degli aerei o gli spiriti li fanno precipitare da un momento all’altro. Quando gli hekurabe sono arrabbiati rompono le cose, si alzano e quando l’aereo si avvicina e lo vedono, lo distruggono e l’aereo cade. Questi spiriti, gli shabori, sono piccoli ma forti. Hanno la forza per distruggere un aereo e dimostrano la loro potenza. I bianchi devono capire che se continuano a disturbare questi luoghi sacri, molte persone moriranno, molti aerei cadranno, ci saranno molti nubifragi, le case saranno distrutte anche nelle città perché gli spiriti sono arrabbiati”.

    LA FIEREZZA DEGLI YANOMAMI

    Intervistatore. Come sai, uno degli argomenti per dividere la vostra terra in “isole” discontinue è che le comunità yanomami sono sempre in guerra l’una con l’altra, si combattono sempre. Puoi spiegare?

    Davi. Ho sentito queste cose molte volte, tutto questo che dicono contro di noi. Ma ai miei tempi, oggi, gli yanomami non si combattono più, non c’è più guerra tra loro. In passato era così, come lo era tra voi. Ora c’è la guerra nei paesi arabi, quindi potete vedere che non sono solo gli indios a essere pericolosi. Gli yanomami non hanno bombe come i bianchi, non maltrattano e uccidono tutti quando fanno la guerra. La nostra guerra è diversa, non abbiamo bombardieri e non lanciamo bombe. C’erano ancora guerre quando ero nel grembo di mia madre, ma oggi non più. Oggi siamo tutti amici. Le liti sono rare e quando qualcuno viene ucciso non viene preso questo a motivo per combattere anni e anni. I bianchi dicono queste cose su di noi perché non vogliono garantirci le nostre riserve, vi temono [i sostenitori stranieri, ndt], i bianchi che parlano in questo modo hanno paura di perdere. Pensano che gli yanomami siano come loro. Al contrario, noi vogliamo le nostre riserve per viverci. Sono loro che tagliano la nostra terra a pezzetti senza dirci cosa stanno facendo o perchè. Il progetto “Northern Headwaters” [un piano segreto militare, il Calha North Project, ndt] fa tutto in segreto, nascondono ciò che fanno, non dicono mai niente alla gente, né spiegano, né chiedono agli indios se sono d’accordo su questa divisione della nostra terra in piccoli pezzi. In Brasile [qui si riferisce alle terre yanomami, ndt] non c’è guerra, non si combatte, non c’è violenza del tipo di cui parlano. Se ci fosse lo direi. Sono uno yanomami, mi piace dire la verità, non mento, voglio che le cose siano chiare per la mia gente. Io direi se fosse vero: siamo pericolosi, combattiamo sempre, non stiamo insieme, quindi non abbiamo bisogno di tanta terra, solo di piccole aree isolate. Ma è il contrario: siccome abbiamo così poca terra, noi yanomami oggi siamo molto deboli anche a causa della malaria. I bianchi parlano in questo modo perché vogliono utilizzare i minerali della nostra terra, prendersi l’oro, la cassiterite nelle nostre riserve. Non lo stanno solo dicendo, lo stanno facendo. Il governo del presidente Sarney, insieme al Northern Headwaters Project, al Funai e all’Ibama [Instituto Brasileiro da Amazonia, ndt], taglia la nostra terra in piccoli pezzi, uno per ogni comunità, così possono entrare nella nostra terra e prendersi le risorse, possono cancellare la nostra gente. Si sono macchiati di molte violenze contro noi indios, ci hanno anche ucciso. Quindi, io sto combattendo per impedire che la mia gente sia spazzata via.
    http://www.ilcambiamento.it/popoli_nativi/...o_yanomami.html
     
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    Ciao. Quando pensiamo di aver capito molto della vita, e' il momento in cui ci vengono impartite autentiche lezioni.
    E a darcele sono spesso i bambini. Sonori "ceffoni" che conferiscono ai nostri piccoli problemi il giusto peso.
    Stamattina ho letto di una bambina affetta da osteosarcoma. Sapeva di avere i giorni contati, ed ha iniziato a scrivere dietro lo specchio della sua cameretta brevi frasi per un totale di circa 3000 parole.
    Autentici insegnamenti di vita, disarmanti per la lucidità e la serenità con cui sono stati formulati. Questo angioletto aveva 13 anni, si chiama(va) Athena.
    http://www.meteoweb.eu/2014/06/athena-orch...-storia/289116/
     
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    Ignoravo l'esistenza di una relazione tra l'evoluzione del sistema solare e quella dell'uomo.
    Intuitivamente possiamo immaginare che, a livello di cellule e tessuti in generale, andiamo ciclicamente incontro ad un rinnovo, così come la natura.
    E per ciascun ciclo, subiamo l'influsso di uno o più pianeti:
    http://asclepiosalus.wordpress.com/2014/01...dei-sette-anni/
     
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  6. Gegia7e3
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    Una bella riflessione di A. Socci, che prende spunto dalla recente tragedia aerea della Germanwings, ma che - al di là della da lui indiscussa accettazione dell'ipotesi suicidaria del copilota - può essere estesa all'ormai dilagante impronta assunta dal mondo e dall'uomo moderno:

    29 marzo 2015

    CITAZIONE
    " Fuori dalla cabina l’Europa ha chiuso Dio (e ora siamo in picchiata)"

    Le cronache sulla tragedia dell’aereo precipitato in Alta Provenza descrivono tutto nel dettaglio, ma ne manca sempre uno. Essenziale.
    Anche nei giorni del dolore di tante famiglie, nell’elaborazione del lutto, quando si cerca di arginare l’oceano di lacrime che sale dal cuore con la rabbia, manca dalle cronache la sola presenza capace di illuminare la notte oscura del male e della morte: Dio.
    E’ stato notato che i giornali parlano di soccorritori, volontari e psicologi, ma mai della presenza di sacerdoti...
    Forse nella Francia della “laicité”, la Francia che legifera contro i segni religiosi negli spazi pubblici, Dio continua ad essere come il Pilota che è stato chiuso fuori dalla cabina: fuori dalla scena pubblica, fuori dalla storia.

    Del resto è stato proprio un poeta francese come Jacques Prévert a cantarlo: “Padre nostro che sei nei Cieli/ Restaci./ E noi resteremo sulla terra”.
    Totalmente diverso il comportamento degli americani dopo l’11 settembre 2001 e dopo altre tragedie simili.
    Oltreoceano il dolore della comunità assume subito un orizzonte religioso, si esprime con la preghiera, con segni e riti che rimandano alla grande speranza che vince il male e la morte.
    Negli Stati Uniti la religione cristiana esprime la forza morale che illumina la vita comune, la democrazia e la libertà personale (non a caso è consuetudine che il giuramento del presidente
    venga fatto sulla Bibbia).
    E’ stato detto, banalmente, che questa dell’Alta Provenza è la prima tragedia aerea europea: volo partito dalla Spagna, diretto in Germania, precipitato in Francia con passeggeri di tutte le
    nazionalità. Ma è una tragedia europea anche perché mostra lo smarrimento spirituale della nostra Europa, incapace di dare un nome al mistero del Male e di accogliere la testimonianza di un Bene più forte della morte.

    NEUROPA
    In fin dei conti potremmo dire che questa tragedia assume un valore simbolico. Perché l’oscura follia individuale del copilota, che ha causato la strage, evoca le nostre follie collettive e i loro
    fiumi di sangue. E’ un po’ la metafora del Novecento europeo, il tempo delle ideologie, dei totalitarismi e delle due guerre mondiali.
    Forse qualcuno troverà eccessivo o arbitrario questo parallelo. Ma l’immagine di un uomo solo, perso nei meandri della sua mente, che impedisce al vero pilota di rientrare nella cabina, e –
    suicidandosi – porta a schiantarsi sulla roccia tutta un’umanità, fotografa in modo impressionante il Novecento europeo.
    Somiglia al secolo in cui si è preteso di espellere Dio dalla cabina della storia e l’uomo, solo, nel suo delirio di onnipotenza, nel suo superomismo che ha partorito tiranni sanguinari, ha
    prodotto l’inferno sulla terra.
    E oggi? Oggi che apparentemente quelle ideologie e quei totalitarismi, in Europa, sono stati spazzati via? Siamo sicuri che i loro veleni non circolino ancora nelle nostre vene?
    Siamo certi che la laica tecnocrazia europea, così politically correct, nichilista e accanita gendarme dei parametri economici, non ci stia portando in picchiata contro la montagna?
    Oggi che continuiamo a tenere il Pilota fuori dalla cabina della vita sociale e della storia, stiamo andando verso un mondo più umano? Siamo sicuri che stavolta l’espulsione di Dio ci sta
    facendo volare nei cieli della felicità e della libertà?
    La potenza tecnologica e scientifica di cui disponiamo, mirabile come il jet della Lufthansa, appare guidata da un’ideologia tecnocratica faustiana che è incapace di distinguere il bene dal
    male e addirittura rifiuta di porsi il problema del Bene e del Male. Infine rifiuta i “limiti” che si devono imporre al “copilota”, cioè all’uomo.
    Crediamo che così ci arridano davvero le magnifiche sorti e progressive? Molti segni dicono l’esatto contrario.

    IN PICCHIATA
    Non c’è solo la perdurante crisi economica che sembra condannare l’Europa a un declino che porterà povertà e crisi sociali devastanti, mentre veniamo “comprati” dall’imperialismo
    economico di giganti totalitari come la Cina o dalla finanza petrolifera islamica. Ma c’è di più: c’è la sistematica guerra contro la vita e contro la famiglia, il vertiginoso
    restringimento delle libertà personali e dei diritti dei popoli, il disprezzo verso ogni riferimento morale e spirituale, l’incapacità totale di far fronte alla pesantissima minaccia islamista, se non
    con il dileggio satirico delle religioni e delle cose sacre.
    C’è il declino demografico, l’immigrazione massiccia, il nichilismo dilagante che rende un deserto la vita spirituale delle giovani generazioni.
    Sono solo alcuni dei segnali di allarme che ci dicono: attenzione, l’ “aereo Europa” perde vertiginosamente quota e sta andando in picchiata contro una montagna. Poi come sempre
    l’Europa trascina con sé il mondo.

    LO SCHIANTO ?
    Un grande filosofo francese contemporaneo, René Girard, in un suo libro recente, analizzando proprio questi segni, scriveva: “l’impressione è che l’intera umanità si stia recando a una
    sorta di appuntamento planetario con la propria violenza”. Girard, grande convertito, ritiene che la sorte della civiltà si giochi nel prendere posizione di
    fronte a Gesù Cristo, colui che ha tagliato in due la storia umana e che pone ogni epoca davanti al bivio: o lui o la violenza distruttrice del Male.
    Del resto è quello che la Chiesa ha provato a ripetere per tutta la modernità. Scrisse il grande John Henri Newman: “L’eccesso dell’iniquità è l’indizio di una morte prossima. Se si
    rimuovesse dal mondo la Chiesa, il mondo giungerebbe in breve tempo alla sua fine”.
    Anche Benedetto XVI, che nei nostri anni è la voce del “Pilota divino” rifiutato dal mondo, nell’enciclica sulla speranza ha messo a tema “la fine perversa di tutte le cose” come
    conseguenza della cancellazione definitiva del cristianesimo.

    Lo ha fatto con una citazione di Kant molto eloquente: “Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore (...) allora il pensiero dominante degli
    uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso; e l’anticristo (...) inaugurerebbe il suo, pur breve, regime (fondato presumibilmente sulla
    paura e sull’egoismo). In seguito, però, poiché il cristianesimo, pur essendo stato destinato ad essere la religione universale, di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino
    a diventarlo, potrebbe verificarsi, sotto l’aspetto morale, la fine (perversa) di tutte le cose”.
    E’ un pensiero drammatico, quasi apocalittico. Ma c’è una controprova? Sì e ce la fornisce la storia.

    CONTROPROVA
    Infatti l’Europa, che era il continente più piccolo e svantaggiato, messo al tappeto dalle invasioni barbariche, ha potuto letteralmente conquistare tutto il pianeta alla sua civiltà proprio
    grazie all’energia intellettuale e morale che si è sprigionata dai secoli cristiani, che non sono solo quelli del Medioevo, ma anche quelli dell’umanesimo, del Rinascimento e dell’epoca
    barocca posttridentina.
    Proprio in questi giorni rileggevo due pensieri di un grande sociologo e storico delle religioni, Rodney Stark (non cattolico) che parlando ai moderni europei li ammoniva così: se il
    cristianesimo non avesse fatto irruzione nella storia “la maggior parte di voi non avrebbe imparato a leggere e gli altri leggerebbero papiri scritti a mano”.
    E ancora:
    “Senza una teologia affidata alla ragione, al progresso, all’uguaglianza morale, il mondo intero sarebbe oggi più o meno dove le società non europee erano, diciamo, nell’800: un
    mondo pieno di astrologi e alchimisti ma non di scienziati. Un mondo di despoti, senza università, banche, fabbriche, occhiali, camini e pianoforti. Un mondo dove la maggior
    parte dei bambini non raggiunge i 5 anni di vita e molte donne muoiono dando alla luce un figlio. Un mondo che vive veramente in ‘secoli bui’ ”.
    L’uomo contemporaneo, credente o no, deve tutto al cristianesimo. Eppure lo disprezza e volendo escludere la fede, rischia di perdere la ragione.
    E di suicidarsi.

    Antonio Socci

    http://www.antoniosocci.com/fuori-dalla-ca...iata/#more-3610
     
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